GIORNATA DELLA MEMORIA PER LE VITTIME MERIDIONALI
di Giuseppe Valerio
13 febbraio 1861: una data che difficilmente si trova nei manuali di storia degli studenti italiani.
E’ il giorno della presa di Gaeta da parte dell’esercito piemontese e la caduta del Regno delle Due Sicilie con la fuga dell’ultimo re dei Borboni, Francesco II.
E’ da quel momento che si intensifica il processo verso l’unità d’Italia e la trasformazione del regno sabaudo in regno d’Italia.
La presa di Gaeta da parte del gen. Cialdini rappresenta, nella retorica ed epopea risorgimentale, da una parte la conclusione della “spedizione” delle mille camice rosse di Garibaldi, dall’altra l’inizio della guerra civile, raccontata dai vincitori come l’insorgenza dei briganti.
“Si trattò di una guerra feroce che ha messo a ferro e a fuoco l’Italia meridionale e le isole crocifiggendo, squartando, seppellendo vivi contadini poveri che scrittori tentarono di infamare col marchio di briganti”(Antonio Gramsci).
Una guerra che costò da 20 a 100 mila morti, con paesi rasi letteralmente al suolo e con la definizione di quanti erano meridionali di essere “fannulloni ed incapaci”.
Sono trascorsi 210 anni dalla nascita di colui che innescò nell’immaginario delle generazioni successive l’epopea storica e popolare dell’insurrezione popolare dei meridionali contro il regno borbonico e la raffigurazione di alcune verità che solo ora cominciano ad essere svelate ed accolte:
- il brigantaggio come resistenza delle genti meridionali,
- l’unità d’Italia fatta a danno dei meridionali
- una guerra di conquista e non di liberazione del sud
Tutto per ristabilire i termini della questione e non per rivendicare patenti neoborboniche.
E’ nata da qui l’iniziativa in sei consigli regionali meridionali del gruppo politico del Movimento 5 stelle di presentare un’identica mozione al fine di stabilire il 13 febbraio come giorno della memoria delle vittime dell’unità d’Italia.
Il Consiglio pugliese il 4 luglio scorso ha approvato la mozione con soli due voti contrari ed un astenuto.
Riscoprire il vero svolgersi degli avvenimenti che portarono all’unità italiana serve a rafforzare le ragioni non di un sterile rivendicazionismo nei confronti del Nord ma a capire il perché siamo giunti alle condizioni attuali e quali azioni tutti assieme occorre porre in campo per uno sviluppo equilibrato della Nazione.
Il Sud non può crescere “contro” il Nord e viceversa, anche se la storia dice che “l’occupazione” piemontese provocò lo smantellamento di ogni risorsa industriale meridionale e lo spossessamento di ogni ricchezza finanziaria borbonica per azzerare il forte debito pubblico di casa Savoia. Ma insegna anche a capire come si svolge la “politica estera”.
L’Italia uscita dal Congresso di Vienna dopo Napoleone era frantumata in tanti piccoli Stati con tre blocchi più forti e più grandi. Al Nord il regno Savoia, al centro lo Stato del Papa, al Sud il regno del Borbone.
La politica estera europea del tempo voleva il formarsi di Stati più forti e più grandi, appunto nazionali.
In Italia era possibile solo al Savoia o al Borbone. Quest’ultimo, dopo un timido approccio “liberale” negli anni 1820-1 si chiuse in un isolamento politico, pur raggiungendo in molti campi traguardi di assoluta eccellenza.
Il Piemonte, specie con l’arrivo ai vertici politici di Camillo Benso Conte di Cavour, investì sugli esteri, finanziò campagne militari anche lontane – si pensi alla guerra di Crimea e ai 15 mila militari – coltivò spregiudicatamente amicizie ed alleanze sia con i Francesi di Napoleone !!! che con gli inglesi guadagnando territori ed espandendosi anche se indebitandosi fortemente.
Sedette al tavolo dei grandi – questa la narrazione e la vulgata risorgimentale per il popolo che legge – ed ottenne di stare dietro ad ogni “intrigo” che potesse portare all’ulteriore allargamento della dinastia sabauda.
Avvenne pure con Garibaldi e la sua “eroica” spedizione dei mille. Senza l’Inghilterra e la sua flotta come dell’azione corruttiva e spregiudicata poco avrebbe prodotto a fronte di un esercito borbonico di oltre 100 mila soldati e ad una delle flotte più potenti del Mediterraneo. Mah, la forza della politica, pulita o sporca che sia, fa aggio sulla realtà e vince.
Salvo poi a verificare, da parte dello stesso Garibaldi, che le promesse fatte ai siciliani ed ai meridionali – la terra ai contadini – diventa un bluff del nuovo Stato unitario ed abbandona il Parlamento per ritirarsi nella sua isola sarda di Caprera.
Da qui la “rivolta” e la guerra “civile” tra gli occupanti piemontesi e le genti del Meridione. Certo c’erano infiltrazioni sanfediste e borboniche, ma il quadro fu di uno scontro tra chi aveva suoi costumi, abitudini di vita – si pensi per esempio alla leva militare obbligatoria imposta ai contadini meridionali… – e chi pretendeva di imporre le “sue” leggi e le “sue” regole.
Insomma un quadro di scontri feroci e subumani, come in ogni conflitto civile interno. Deportazioni, interi paesi distrutti e bruciati( in Puglia, Gioia del Colle, San Marco in Lamis, Vico, Rignano), spietata azione di repressione, ecc… Un nome per tutti, il gen. Cialdini. Ma a costoro si ersero monumenti, epitaffi, citazioni nei libri di storia e una strada o una piazza in ogni contrada d’Italia come i “facitori” dell’Unità d’Italia.
Agli altri la gogna, la definizione di “briganti”, di sovvertitori dell’ordine costituito, di “fannulloni ed incapaci” appunto.
Di tutto questo il consiglio regionale della Puglia ha inteso parlare e stabilire che in un giorno dell’anno le scuole, la politica, la società civile si fermi a discutere e a riflettere, non per assicurare un risarcimento al Meridione, che lo ha trovato solo quando una politica meridionalistica ha assunto la qualifica di nazionale e non territoriale, ma per capire come e perché si è costituita l’Unità italiana.
In questo quadro e per queste finalità è venuta la decisione del consiglio regionale pugliese e l’iniziativa dei 5 stelle.
Spetta ora alla giunta regionale definire le azioni, ma spetta, a nostro avviso, ai sindaci e ai consigli comunali pugliesi approfondire i temi, le condizioni, gli avvenimenti che portarono all’unità perché non leghe o movimenti territoriali possono assicurare un armonico sviluppo della Nazione ma la unitaria consapevolezza che molti errori furono commessi e da questi occorre trarre le giuste ragioni di stare insieme per il futuro.
E poi i sindaci ricomincino a parlare e a discutere con i rispettivi consigli comunali di temi “politici”, non solo di marciapiedi e urbanistica, di servizi sociali e feste di piazza, ecc…
Presidente federazione Aiccre Puglia
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